Siamo noi... I tifosi del Bologna siamo noi!

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Il Bologna è la squadra del mio cuor...

venerdì 31 luglio 2015

"Aperto per ferie": Eraldo Pecci

Aperto per ferie torna puntuale (o quasi...) anche questa settimana. La tentazione di parlare del mercato che non va assolutamente nella direzione sperata e dei presunti o, ahimè reali, problemi societari è stata grande, ma ho preferito continuare a parlare dei nostri giocatori, perchè, onestamente, si stanno sprecando anche troppe parole senza sapere effettivamente di cosa parlare.
Il sorteggio di oggi ha decretato che il protagonista settimanale dovesse essere Eraldo Pecci.
Potrei non aggiungere altro, perchè un campione lo è per sempre!
Cercherò invece di farlo conoscere al meglio alle nuove generazioni che, mi auguro di cuore, decideranno di tifare per il Bologna.
Di seguito riporterò parti di un'intervista che Eraldo rilasciò al "Pallone Gonfiato" l'8 dicembre 2014. Ascoltarlo fu un piacere immenso, un'emozione molto forte e una vera sorpresa, per me: quando si dice che tutti i "grandi" sono umili è vero! Eraldo è umile, semplice, schietto e sincero! Davvero un grande...



Eraldo Pecci nasce nell’aprile del 1955 a San Giovanni in Marignano, in provincia di Rimini. Nel 1972 arriva nelle giovanili del Bologna dal Superga di Cattolica ed esordisce in rossoblù nella Mitropa Cup ed in serie A contro la Juventus, squadra della quale sarà spesso antagonista in futuro: “Con la Juve feci anche un provino che andò molto bene, ma i miei dirigenti erano già in parola col Bologna e non andai ai bianconeri. Meglio, è un colore che mi snellisce”. Pecci ha giocato a Bologna dal 1973 al 1975 vincendo la seconda Coppa Italia del club, mettendo a segno il rigore decisivo nella finale contro il Palermo: “Fu una grande soddisfazione per tutti noi. Il Palermo fallì tante occasioni, Buso fu decisivo. Fra l’altro, io tirai l’ultimo rigore, però dopo alzai gli occhi verso il tabellone e vidi scritto “Mei”.... sono soddisfazioni! Prima di tirare i rigori Bulgarelli chiese a Pesaola, che credeva ci fosse la ripetizione e non i rigori, chi avrebbe tirato e il mister disse ‘Faccia lei, tanto fa sempre tutto lei!’. L’arbitro ci diede quel rigore al 90’ per compensare l’espulsione di Bob Vieri dopo che gli aveva dato del disonesto, perché forse gli pareva eccessivo il provvedimento preso”. Nel 1975 Pecci fu ceduto al Torino assieme al terzino Caporale, ma nella stessa estate partì anche Savoldi, venduto al Napoli: “Io seppi della mia cessione mentre andavo a morosa dall’audio di una tv. Tornavo dalla nazionale militare e dovevo raggiungerla a ballare, sentii ‘Pecci al Toro’. Fu una giornata disastrosa perché poi vidi la morosa in discoteca con un altro…ero al Toro da due ore e avevo già le corna!”.
Dopo il passaggio al Torino, Pecci tornava spesso e volentieri a Bologna: “Dovetti lasciare la città, gli amici e Torino era distante, fredda. Qui invece io sono nato e morto come calciatore. Poi mi abituai, iniziai ad apprezzare l’ambiente e la bellissima città. Sentii la fiducia, mi impegnavo: poi quando arrivi al Filadelfia capisci che devi dare tutto per il Toro”. E di seguito, un aneddoto sullo stipendio: “A Bologna firmai in bianco, mi fu suggerito per non irritare il presidente. Mi diedero il minimo, 3,3 milioni, al Torino chiesi 40 milioni e accettarono subito. Allora mi chiesi, dove avevo sbagliato?” Poi un ricordo del presidente granata Orfeo Pianelli: “Era un presidente tifoso, pensava di ridare qualcosa alla società con quel che guadagnava con la sua azienda. Io vivevo appieno la vita del club in sede e sentivo anche certi discorsi nei momenti difficili. Era un uomo che voleva bene ai suoi operai e appena poteva li aiutava soprattutto se erano in difficoltà ed avevano bisogno di cure. Si faceva voler bene e tutti lo amavano e lo rispettavano. Non faceva mai complimenti ma dimostrava il suo affetto in altri modi... ricordava un po’ mio padre”. Dopo il presidente, l’allenatore, Luigi Radice: “E’ stato il migliore che ho avuto. Capiva il calcio come pochi e portò il metodo olandese in Italia: attaccava, pressava e faceva contropiede. Lui era bravo e noi eravamo fortunati ad averlo, ma bisogna dire che aveva trovato un gruppo forte ma anche intelligente, composto da bravi ragazzi che si sono meritati quel che hanno vinto. Radice era fra i migliori perché era disponibile e forse il suo segreto era quello. Giocavamo con una specie di 4-3-1-2, ma all’epoca era diverso da adesso, i difensori giocavano più distanti, ora non c’è più tutto quello spazio a disposizione”.



Il Pecci calciatore è stato amato ed apprezzato non solo per le sue gesta sul campo, ma anche per la simpatia e la genuinità della persona, che alcuni suoi compagni decantano con orgoglio. Roberto Salvadori: “Pecci era un bravo calciatore e non solo: era intelligente, attento a chi gli stava attorno ed era sempre pronto ad aiutare chi era in difficoltà. Vederlo giocare dava grande soddisfazione”. Patrizio Sala: “Era un ragazzo speciale, si spendeva per tutti ed era sempre disposto a dare una mano a chi aveva bisogno. Per me è un piacere e un onore parlare di un ragazzo speciale come lui”. Roberto Mozzini: “Eraldo era un ragazzo quando arrivò, ma aveva già la mentalità del veterano. Aveva grande stile e tecnica, non era rapido, ma la sua presenza si faceva sentire e riusciva a completare il nostro lavoro. Era sempre pronto e disponibile, quando qualcuno aveva bisogno lui c’era sempre”. Ma il contributo più significativo è senza dubbio quello di Francesco Graziani, intervenuto direttamente in trasmissione: “Eraldo è stato un compagno incredibile ed è un ragazzo straordinario, intelligente e arguto. Ci sentiamo poco purtroppo, ma quando capita è sempre una festa. Ho tanti ricordi assieme a lui di momenti vissuti assieme fra gioie e dolori, ci siamo sempre trovati anche come carattere, per me è un fratello e non a caso l’ho salutato chiamandolo così...” e Pecci: “Ciccio è stato un grande compagno. Aveva grandi capacità tecniche, dava una grossa mano con il suo modo di giocare. È una persona con dei valori, un amico. Una volta poteva andare a guadagnare più soldi altrove ma non andò perché aveva dato la sua parola”. Graziani, che giocò con Pecci al Torino ed alla Fiorentina, racconta un po’ di sé: “All’inizio della mia carriera ero un po’ rozzo, poi nel tempo mi sono perfezionato nei dettagli, come nel controllo e nello stoppare la palla, con la volontà e la voglia di migliorare”. E Pecci in risposta: “Ho sempre detto che Ciccio aveva sempre una gran voglia di migliorarsi, così è stato e lo ha dimostrato”. Non poteva mancare il contributo del bomber di quel Torino, Paolo Pulici, autore di 21 gol nel campionato 1975/76: “Eraldo è un giocatore che ha tanto da insegnare. Si faceva volere bene da tutti, anche dai più ‘torinisti’. Era sempre allegro e tirava su il morale nei momenti difficili. Fu fondamentale per lo scudetto, prese in mano la squadra e noi dipendevamo da lui. Era indispensabile, nonostante fosse il più giovane e gestiva la squadra come un veterano” ed in risposta Pecci, ha elogiato le qualità di Pulici, giocatore molto devoto alla causa granata: “Era il più bravo di tutti a fare gol, magari c’erano altri più completi di lui, ma sul gol non aveva eguali. Si adeguò immensamente al Toro e forse anche per quello in nazionale non rese come in granata”.



Nel 1981 Pecci lasciò il Torino e approdò alla Fiorentina. Con i viola ha giocato fino al 1985: “Eravamo una buona squadra, vincemmo molte partite, ma perdemmo lo scudetto all’ultima giornata e fu un grande dispiacere. Ricordo che segnai la mia unica doppietta al Torino. Segnavo spesso alle mie ex squadre, ma esultavo sempre per rispetto alla maglia che portavo. Ad ogni modo io vivevo per i gol degli altri, preferivo far fare gol anziché segnare”. Nella stagione 1985/86, Pecci passò al Napoli dove giocò con Maradona, di cui racconta un aneddoto in occasione della famosa punizione che il Pibe de Oro trasformò in gol contro la Juventus: “Dissi a Diego che il pallone non ci passava. Lo spazio era poco, glielo ripetevo più volte "non ci passa Diego, dammela indietro!… fai come ti pare, Maradona sei tu…".... e fece gol. Riusciva a fare cose irrealizzabili perché aveva una tecnica incredibile, ma anche il coraggio di provare a fare certe cose”. Nel 1986 Pecci tornò a Bologna, la piazza che l’aveva lanciato nel calcio che contava, dove rimase fino al 1989. Con i rossoblu tornò in A nel 1988 assieme a Gigi Maifredi, che Pecci ricorda nel contesto: “Fu la più grande soddisfazione assieme al periodo del Torino. C’erano tanti ragazzi bravi come Marocchi, Luppi, De Marchi, Poli e Gigi riuscì a capire le potenzialità che c’erano in loro creando una buona squadra. Lui fu bravo, ma dietro c’era un presidente come Corioni che di calcio ne capiva e gli diede una mano. Io fui un po’ la mamma di tutti questi ragazzi anche se penso che diedero più loro a me che io a loro e provo ancora grande affetto per tutti. Quella era una squadra che aveva grande forza e voglia di fare”.
In conclusione, Pecci ha brevemente parlato della sua esperienza da scrittore riguardo al suo libro “Il Toro non può perdere” in cui parla in prima persona della sua esperienza calcistica, con un focus particolare sullo scudetto granata del 1975/76: “E’ stata un’esperienza che mi è servita, in cui parlo di un tempo di cui sono innamorato: sono legato a gente come Pesaola, Bulgarelli, Ferrini. Erano altri tempi, dove si poteva anche ridere e scherzare, cosa che al giorno d’oggi non è pensabile”...




Oggi ci sarebbe davvero bisogno di tanti Eraldi... Cuore, anima, testa, umiltà e gambe!
Invece è il denaro che detta le regole!
Alessandra Sportelli Negrini









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