… bisogna tornare indietro. Ecco quindi concretizzarsi il ritorno di
Sinisa Mihajlovic là dove tutto è cominciato: fu infatti sulla panchina
Rossoblù che il bellicoso tecnico serbo fece la sua prima esperienza da
allenatore, sia pure con la compartecipazione mascherata di Roberto Mancini. Più
o meno era andata così: l’allora presidentessa del Bologna, Francesca Menarini,
trovatasi nella necessità di ingaggiare un allenatore, aveva pensato bene di
rivolgersi a Robertino, col quale aveva frequentato le aule del Liceo. Mancini,
fresco di esonero dall’Inter, che gli aveva preferito Mourinho in prospettiva
Triplete, non volle rinunciare al principesco ingaggio residuo a cui erano
tenuti i nerazzurri, e suggerì all’amica di prendere Sinisa, che all’Inter gli
aveva fatto da secondo. A dire il vero, all’inizio le cose si erano messe bene:
stranamente, il Mancio era tutti i giorni a Casteldebole, e al momento di
scendere in campo fortissimi erano i sospetti che avesse messo becco nella
formazione, ma la classifica aveva assunto un aspetto confortante e tutti
vivevamo felici e contenti. Fino a quando, un brutto sabato sera, nell’intervallo
di un Juve-Bologna che non stava andando nemmeno tanto male, scendendo negli
spogliatoi Robertino si trovò di fronte il suo nemico giurato Luciano Moggi,
invitato lì dal patron Renzo Menarini. Il brutto incontro ebbe conseguenze
devastanti: Menarini dovette giustificare i rapporti che lo legavano al
plurisqualificato ex manager juventino, “ grazie “ ai quali rischiammo una
penalizzazione in classifica; Mancini andò via sbattendo la porta e non si fece
più vedere; Mihajlovic, rimasto solo, cercò di mettere a frutto la propria
abilità e le esperienze maturate ( non dimentichiamoci che da giocatore era
definito un allenatore in campo ), ma la situazione gli sfuggì progressivamente
di mano, fino al disastroso epilogo della gara interna contro il Siena:
esattamente come ieri, furono quattro pappine rimediate dall’ultima della
classe a determinare l’avvicendamento del serbo con lo specialista in salvezze Papadopulo.
Dieci anni dopo, in un contesto completamente diverso, Mihajlovic, il cui nome,
probabilmente, è stato suggerito a Joey Saputo ancora una volta dal Mancio, che
notoriamente è la prima scelta del magnate canadese, si trova, per la seconda
volta nella sua carriera, a rilevare una panchina da Filippo Inzaghi, dopo
quella del Milan. Negli anni il vulcanico centromediano ha dimostrato di saper
camminare in panchina con le proprie gambe, ottenendo anche dei risultati di
rilievo, bilanciati, ahimè, da un caratteraccio che lo ha portato spesso in
conflitto coi dirigenti dei club di appartenenza. Attualmente era libero perché
reduce dal clamoroso tradimento subìto dallo Sporting Lisbona: il presidente
uscente lo aveva ingaggiato per giocarsi una carta elettorale; nove giorni dopo,
però, è stato eletto presidente il suo avversario, che come prima mossa ha
scaricato il tecnico serbo, tuttora in attesa di un consistente assegno di
buonuscita. E ora ??? A prima vista l’impresa sembra disperata, ma dieci anni
fa le cose non stavano molto diversamente: Papadopulo raccolse il testimone a
poche giornate dalla fine, ottenendo una salvezza di cui ancora oggi non riesco
a capacitarmi; stavolta siamo all’inizio del girone di ritorno, e ci sono
davanti un paio di giorni di calciomercato. Certo, sarebbe stato meglio che
Fenucci e Bigon avessero provveduto ad una massiccia ristrutturazione della
rosa, tipo il mercato invernale operato da Squinzi a Sassuolo al termine del
disastroso girone di andata del primo anno in Serie A, ma purtroppo chi non è
intelligente per natura l’intelligenza non può darsela da solo. Per tacere
della figura barbina indotta in cui sono incappati tutti i cosiddetti
specializzati della stampa sportiva locale, i quali ignoravano che Donadoni
aveva provveduto a risolvere il contratto un mese fa, concordando una
buonuscita allo scopo di evitare il ritorno su una panchina ormai indigesta. Intanto
cambiamo l’allenatore; poi sarà il turno dei rami secchi dirigenziali. Sperando
che Mr. Joey sappia fare tesoro delle disavventure vissute.
Paolo Milito
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